Qualche tempo fa avevo riportato in questo articolo alcuni punti di riflessione nei confronti dei formati aperti.
Così come allora il tema era “caldo” in seguito alla pubblicazione del “Nuovo Codice Appalti”, oggi l’argomento ritorna sotto i riflettori con la recente pubblicazione del cosiddetto “Decreto BIM” (Decreto Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 1 dicembre 2017, n. 560) che ne ribadisce il concetto oltre a definire i tempi e modi di attuazione.
Giustamente pervengono molte richieste da parte di clienti preoccupati che avvicinandosi al BIM spinti dalla normativa ci chiedono se “Revit” – il “prodotto” che la fascia di mercato meno matura tende ad identificare col BIM – rispetta i requisiti di norma.
Chiaramente dietro a questa domanda c’è un riferimento esplicito all’art. 4 paragrafo 1 del Decreto che ribadisce:
La risposta ufficiale e concisa a questa richiesta è la seguente:
“ Sì, essendo Revit certificato da buildingSMART International come CV2.0 Arch – Strutt – MEP esso risponde alla normativa codice appalti e successivo decreto”.
Qui si possono scaricare i certificati che attestano che Revit è compliant, così come del resto lo sono la maggior parte dei prodotti “BIM”concorrenti, tutti allineati a questa esigenza di neutralità dovuta per gli appalti pubblici.
Ricordo a questo proposito che buildingSMART International è l’unico ente che può dare questa certificazione, garantendo una assoluta neutralità tra le parti.
Detto questo, vorrei allargare il discorso all’interessante pubblicazione dell’European BIM Task Group, “Ente Europeo per la promozione del BIM come costruzione digitale nei lavori pubblici con l’obiettivo di migliorare l’impiego del denaro pubblico, la qualità e la competitività sostenibile del settore”.
Tale documento, l’EU BIM Task Group Handbook (qui tradotto in italiano) ha lo scopo di fornire indicazioni utili a tutti gli stakeholder per una corretta introduzione del BIM nelle loro opere o strategie pubbliche.
Sfogliando il documento è interessante notare come viene trattato il tema della neutralità dei formati, al capitolo 3.3.2 che ho di seguito inserito evidenziando alcuni punti
Ebbene, è interessante notare l’obiettività – finalmente – con cui vengono considerati i formati neutri, in particolare il formato IFC, nei seguenti termini:
- i formati neutri garantiscono la neutralità e la leggibilità e per tale motivo sono necessari senza ombra di dubbio in fase di scambio e archiviazione
- vengono definite delle “eccezioni” per quando il dato si deve modificare dando quindi conferma del fatto che il dato neutro non è un formato di lavoro: l’IFC è un formato di scambio.
É un aspetto ovvio per gli addetti ai lavori – e lo diciamo da anni – che tuttavia sembrava rappresentare un tabù dal punto di vista normativo.
Pertanto, l’IFC deve essere usato per scambiare dati ufficiali, pubblicare bandi e archiviare progetti per garantire la neutralità e la leggibilità nel tempo; ma il suo ruolo finisce qui: per modificare il dato (cioè durante il processo progettuale) occorre ricorrere anche ai formati nativi.
L’handbook si preoccupa quindi di dare concretezza alle possibilità di utilizzo dell’IFC – una concretezza che la norma per sua natura non ha – dando spazio all’interpretazione di legislatori e burocrati che guardano all’IFC come al formato “magico” che rende tutto possibile.
Mi è anche capitato di sentirne parlare in questi termini, auspicando addirittura “un divieto normativo di scambiare formati nativi nell’ambito di appalti pubblici e privati (!) nell’interesse dei committenti (!) e dei progettisti (!)”. Devo ammettere che in quel momento ho avuto paura che queste ipotesi venissero davvero prese in considerazione…
Ecco, l’handbook, intendiamoci, non è “la legge”. Ma per la sua autorevolezza, il BIM Task Group può sensibilizzare le coscienze ed evitare derive di questo tipo.
Nel mio precedente articolo, avevo anticipato il timore che una “messa al bando” dei formati nativi avrebbe necessariamente creato un “sottobosco di file nativi non ufficiali” tra i professionisti, difficilmente gestibili poi in caso di contenziosi.
Ebbene, questa precisazione del BIM Task Group rimuove questo dubbio in quanto va a legittimare i formati nativi quando non riferiti a un momento preciso di delivery ufficiale e che pertanto potranno essere ufficialmente presi in considerazione sebbene come “progetti in lavorazione”.
Interessante anche vedere come nelle raccomandazioni si “incoraggi l’offerta aggiuntiva di formati nativi onde evitare perdita di dati “ – e anche qui, finalmente, si infrange un altro tabù e si ammette che sì, l’IFC è bello, è neutro, è onesto, ma – in particolare su alcune discipline come lo strutturale, l’infrastrutturale, l’energetico – si perdono dei dati, talvolta ancora in modo sostanziale
Allora qual è la strada da percorrere?
A mio avviso è giusto procedere su diversi fronti.
Investire su IFC ci permetterà di colmare versione dopo versione i dati mancanti attraverso un fronte comune di tutte le software-house rappresentate da Building SMART International
Nel contempo, dovremo garantire – così come indicato dal BIM Task Group – una flessibilità in termini di accoglienza delle eccezioni e promuovere un sempre maggior numero e modalità di scambio ed apertura.
Infine, nell’interesse di tutti, dovremo fare in modo di evitare di “imbrigliare” la ricerca e l’evoluzione tecnologica in un contesto normativo che non può altro che riferirsi alle tecnologie attuali – e questa, per il Legislatore, sarà la vera sfida.