[blog Autodesk “dal BIM in poi” – autore: Ilaria Lagazio]
Il Nuovo Codice Appalti e l’approvazione della norma UNI 11337 stanno confermando quello che sosteniamo da tempo: la crisi dell’edilizia non è solo economica ma anche e soprattutto strutturale, legata ad un tessuto tecnologico e organizzativo delle professioni obsoleto, che potremo superare solo grazie ad uno “svecchiamento” dei Processi progettuali e costruttivi.
L’utilizzo del Building Information Modeling è pertanto il punto di partenza che ci permetterà di scardinare definitivamente un processo progettuale tutto italiano fatto di errori, mancanze e dilatazione incontrollabile di tempi e costi, che ci esclude a priori da una competizione internazionale basata sul rigore e la precisione.
Riporto di seguito un dettagliato articolo a favore del BIM che scrissi qualche anno fa sotto la spinta emotiva di una prima bocciatura del BIM a livello legislativo.. Probabilmente i tempi non erano ancora maturi e per questo ritengo queste riflessioni più attuali di allora: una (forse) impietosa analisi dell’industria delle costruzioni che si stava ancora chiedendo se ci sarebbe stata una via d’uscita….
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(Articolo pubblicato su Ingenio Web il 3-10-2014)
In fase di crisi economica è frequente – lo percepisco quotidianamente confrontandomi con i clienti – lo sforzo di individuare i maggiori fattori di spreco per ridurli al minimo e per mantenere un margine di profitto a fronte di un costo competitivo. Nel periodo precedente alla crisi, specificatamente nel mondo dell’edilizia, per decenni, questa analisi è completamente mancata.
A differenza di quanto accade nell’industria, il profitto non è stato investito in ricerca, ma al contrario, gli ampi margini hanno frenato la crescita, nella assurda illusione che il mancato coordinamento, gli errori progettuali ed operativi avrebbero sempre trovato rimedio in fase costruttiva.
Le cose solo apparentemente andavano “bene”: già allora chi come me lavorava nelle nuove tecnologie e aveva un occhio su quanto stava accadendo negli altri Paesi, si rendeva conto che il treno dell’innovazione rischiava di passare lasciandoci indietro; purtroppo ricordo bene di miei seminari sul “Building Information Modeling” quasi deserti, la sensazione di sentirsi una “Cassandra” e l’assurda obiezione che “in Italia non si può fare…”.
Il progetto è diventato così un plico di carta invece che una attenta pianificazione, la certificazione un impiccio burocratico invece che una “progettazione sostenibile” e la macchina edilizia un carrozzone di sprechi, certificazioni e parcelle inutili.
Quando oggi mi trovo di fronte a interlocutori che si chiedono quali processi implementare, su quali mercati espandere la loro offerta per far fronte all’emergenza, mi rendo conto di poter affermare, senza retorica, che abbiamo ancora di fronte una opportunità.
Si stima che la fase di cantiere tradizionale generi uno spreco in termini di manodopera e materiale compresa tra il 20 e il 50 % del costo costruttivo. Committenti e imprese di costruzione, soprattutto fuori dai confini nazionali hanno iniziato a prendere coscienza di questo possibile margine aggiuntivo e a “razionalizzare” il processo progettuale dalla modellazione al cantiere.
Altri fattori a livello globale, che a lungo abbiamo ignorato, stanno spingendo per un “ammodernamento” della filiera edilizia apportando cambiamenti alla metodologia di lavoro. In questi fattori rientrano gli aspetti legati alla sostenibilità in senso globale ovvero in termini di emissioni in atmosfera, consumo di risorse, consumo di territorio problematiche legate agli approvvigionamenti di gas, sostenibilità legata alla manutenzione.
E’ difficile credere che senza modificare il metodo di progettazione attuale potremo tornare ad essere competitivi in una economia globale, soprattutto a fronte di nuove economie che hanno avuto anche il grande vantaggio di partire da zero, strutturandosi a priori per fare fronte alle esigenze di una economia globalizzata e moderna.
Certamente le cose non cambieranno, se non cambieremo il modo di lavorare, di collaborare, di intendere la progettazione.
Dal mio punto di vista è certo che abbiamo ancora la possibilità di trasformare queste sfide in enormi opportunità di crescita. Mi occupo di Building Information Modeling da anni, da prima ancora di sapere che questo metodo di lavoro avesse un nome, affascinata da un’idea di progetto dove tutto poteva essere lì, a portata di click, a disposizione di tutti e in qualsiasi fase progettuale, pensando ad un domani in cui il Dato – o l’Informazione – potesse essere anche condivisibile in tempo reale.
Ho continuato a parlare di BIM per professione, confidente che il BIM non potesse che essere vincente, perchè “Intelligente” e come tale, universale. E non solo “all’estero” , perchè i metodo “intelligenti” lo sono ovunque e l’ingegnere sa che su ciò che è logico e razionale, chiaro ed evidente può contare.
Il BIM è “intelligente” perchè appunto condivide l’INFORMAZIONE; è universale perchè ogni oggetto rappresenta se stesso, in modo univoco e non soggetto a interpretazioni, legende nè unità di misure. Il BIM rappresenta la realtà per quello che è.
La vera Rivoluzione Copernicana offerta dal BIM è che ognuno dei progettisti deve necessariamente mettere da parte la sua specializzazione a favore del modello – che diventa unico e solo attore protagonista del progetto. Nessun ruolo nella filiera del BIM è dominante, tutti ruotano intorno al vero protagonista: il progetto.
É in parte un tornare indietro ai tempi in cui l’architetto era anche “concept designer” dell’opera, strutturista, impiantista e , non per niente, costruiva spesso un modello integrato per ragionare sull’opera nel suo complesso. Possiamo affermare che le grandi opere che hanno fatto grande l’Italia seguivano a loro modo una metologia BIM.
Effettivamente dopo la sua introduzione iniziale il BIM si è parzialmente diffuso in italia ottenendo un riscontro positivo dagli ambienti architettonici; chiaramente si trattava di una implementazione parziale, incompleta e inconsapevole, legata essenzialmente ai vantaggi pratici e grafici (correttezza, coordinamento delle tavole, gestione del file, generazione di piante e sezioni ecc). Le motivazioni di questo “difetto di forma” vanno attribuite in parte alle responsabilità delle softwarehouse, tendenzialmente legate al settore architettonico, in parte ai professionisti stessi che hanno travisato il concetto di DATO, e hanno continuato a lavorare indipendentemente da una connessione con il processo BIM, limitando l’ implementazione di un metodo all’utilizzo di uno specifico software.
Modellare in BIM non è “disegnare”. Modellare in BIM è “progettare” e di più. Significa approcciarsi al progetto da tutti i punti di vista, a partire volendo, da una modellazione concettuale che già embrionalmente porta informazioni relative al luogo, all’orientamento, ai volumi sfruttabili, alla destinazione d’uso e modella la sua forma in base ad aspetti estetici e funzionali, quali ad esempio volumi disponibili, ombreggiature, esposizioni al vento e stima dei consumi.
Un progetto ben pensato a priori, difficilmente diventerà un progetto mal fatto.
D’altra parte è comprensibile che i professionisti non si siano fatti carico autonomamente di modificare un metodo di lavoro consolidato: il BIM è un metodo di lavoro che presuppone una condivisione e spesso questa in Italia non avviene.
Il tessuto professionale è il primo elemento che deve cambiare per dare spazio a un metodo organizzato: devono definirsi delle cooperazioni stabili, dei rapporti subordinati costanti e deve instaurarsi una mentalità che premia il lavoro ben fatto.
L’aggravante per il professionista è che il maggior beneficio del BIM non è per lui ma per l’impresa di costruzione. É infatti in fase costruttiva che il maggior impegno iniziale e la buona progettazione danno i maggiori vantaggi. È lì che l’operatore è in grado di fruire maggiormente di un modello integrato, simulando un vero e proprio cantiere virtuale e mettendosi al riparo da ogni tipo di inconveniente e modificando a colpi di mouse ciò che in passato veniva risolto con il martello pneumatico.
L’impresa di costruzioni è il pricipale beneficiario di una metodologia BIM, che ha il merito di traghettare il cantiere da una installazione artigianale a un sitema industriale a tutti gli effetti. Del resto, se in cantiere si esercitano i maggior sprechi è ovvio lì che si possa ottenere il maggior risparmio.
Una delle principali obiezioni che ho ascoltato in questi anni è stata come ho anticipato che il BIM ben si adatta ad un aprogettazione in stile “statuinitense” e poco invece ad un contesto europeo, storico, dove pochi sono gli edifici nuovi e regolari.
Porterò di seguito le immagini relative a un piccolo esempio di riqualificazione, che è ormai evidente debba diventare il focus di tutti gli sforzi a livello pubblico e privato sviluppato completamente con metodologia BIM.
Si tratta di una casa unifamiliare, di piccole dimensioni, seguita personalmente: il classico target del micro-studio professionale, che avvalendosi di un paio di figure professionali si deve occupare di tutti gli aspetti, realtà molto diffusa in Italia.
L’edificio ha subito un restyiling, un ampliamento e al contempo una riqualificazione energetica totale portandosi da una classe energetica E ad una classe A e permettendo grazie ad un isolamento a cappotto termico, serramenti a bassa trasmittanza, eliminazione dei ponti termici e installazione di impianti solare e fotovoltaico di azzerare le emissioni di CO2 in atmosfera, avvalendosi unicamente di una pompa di calore. Si è teso a raggiungere i valori indicati dalla norma Passivhaus i cui limiti sono più restrittivi delle norme nazionali.
L’analisi è stata dettagliata grazie al supporto del modello BIM che ha permesso di valutare l’impatto delle singole scelte estetiche e funzionali.
Di seguito sono descritte attraverso immagini le varie fasi di elaborazione del progetto.
Valutazioni preliminari
Modellazione architettonica/strutturale, fasi
Analisi delle alternative progettuali
Approfitto del tema “rendering” per fare una piccola parentesi. Da ingegnere, per me il rendering è sempre stato un tema molto secondario, perchè distoglie da quello che è il focus della funzionalità dell’edificio. Al contrario, il BIM apre la porta al rendering in modalità spontanea: i materiali, il sole, le luci e l’esposizione sono già inseriti nel database, fanno parte della natura degli oggetti e del progetto.
La disponibilità del dato addizionata alla potenza del server remoto (calcolo cloud) ci permette di generare quanti calcoli di rendering volgiamo, senza defocalizzarci dal nostro progetto, semplicemente richiedendo una elaborazione di fotogrammi o panorami che stiamo osservando.
Naturalmente se vogliamo generare una resa fotografica possiamo utilizzare lo stesso modello BIM generato in Revit ed importarlo in un software dedicato come 3DS Max evitando la fase di input dei dati dei materiali.
Di seguito alcune immagini relative ai flussi di dati che si possono evidenziare sul progetto:
Workflow interdisciplinare:
Workflow strutturale:
Workflow impiantistico
Concludendo, in piena crisi del settore, il BIM è uno dei fattori di innovazione di cui abbiamo maggiormente bisogno. Occorre fare presto, perchè i Paesi stranieri sono già di gran lunga avanti a noi. Non è vero che in Italia non si può fare: si può e si deve fare. Se abbiamo saputo cavarcela in passato restando competitivi con metodi approssimativi, possiamo solo immaginare quali nuovi spunti possa offrire un metodo razionale, intelligente e flessibile come quello offerto dal BIM.