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dal BIM in poi...

Restiamo coi piedi per terra: performance REALI di una abitazione a basso consumo

Ilaria Lagazio
27/02/2018

Un commento di un lettore del blog oggi ci chiede – giustamente – di restare coi piedi per terra.

Apprezzo molto questo tipo di commento, che sfonda una porta aperta e che mi è scusa gradita per scrivere un pezzo, che da alcuni mesi ho in testa, ma non trovo il pretesto per iniziarlo.

Ho già più volte detto che per una persona “pratica” come ritengo di essere, è un po’ strano sentirmi come “sbalzata” da anni di gavetta nel BIM – dai primi esperimenti da Revit alla linea di produzione, a tutte le “battaglie” coi colleghi che freddamente rispondevano ai nostri post “il BIM in Italia? MAI!”,  alla situazione attuale, dove ormai tutti gli ingegneri e gli architetti sono diventati indistintamente “BIM Manager”, quando solo poco tempo fa questo titolo suscitava durante i nostri seminari l’ilarità generale!

 

E’ giusto che le normative ci dicano cosa dobbiamo fare e cosa dobbiamo aspettarci: ma non devono prendere il sopravvento sulla realtà e sul buon senso e distrarci da quello che il BIM (o il progetto)  è veramente.

 

Un discorso un po ‘ simile riguarda le performance energetiche e tutti i discorsi collaterali: le norme, la classificazione, la certificazione, i prodotti, gli innumerevoli articoli a riguardo che indovinano il costo di gestione di una abitazione, a prescindere dall’uso, e talvolta ho la sensazione che si perda di vista ancora una volta l’obiettivo del progettare bene.

Il fatto è che quando un progettista fa sì che l’edificio progettato rispetti i requisiti richiesti,  il suo lavoro è finito:  il “Facility Management” non lo riguarda.  Metto le virgolette perchè siamo abitati a pensare che FM riguardi le industrie e i grandi complessi edilizi. Invece coinvolge tutti noi.

 

Insomma, navigando nel web vedo tantissimi esempi di edifici a Energia Quasi Zero, per lo più case unifamiliari realizzate con tecnologie che promettono risparmio energetico e terminano con un bel certificato Energetico. Fine della storia.

E mi rendo conto che per un lettore che non sia esperto di settore questo vuol dire ben poco.

Non sarà certo la molla che gli farà pensare “voglio farlo anche io: da domani mi impegnerò a produrre meno Co2, perchè ne gioveremo tutti e anche io avrò un livello di comfort maggiore” – perchè di questo si tratta.

Capisco quanto per noi professionisti sia difficile a volte restare coi piedi per terra e promuovere concetti “sensati più che sensazionali”. 

 

Così, tanto per per restare pratica e farmi un’idea della situazione ho voluto analizzare cosa succede DOPO: quando il progettista ha finito, l’impresa scompare e l’edificio “FUNZIONA” – quando l’edificio resta in mano al proprietario.

Ho parlato in passato di una ristrutturazione che ho fatto qualche anno fa  (in parte descritto qui), collezionando tutte le tecnologie che ho trovato a disposizione, nei limiti delle mie possibilità.

Per raggiungere lo scopo ho utilizzato un isolante per il cappotto termico che allora mi era sembrato il  migliore sul mercato, spingendo il k termico verso i parametri richiesti dalla norma tedesca (quindi non banalmente per ottenere risultati “da incentivo statale”, la strada suggerita dai più).

Idem per i serramenti, i più performanti che ho trovato sul mercato, ma soprattutto una analisi maniacale di ponti termici –  con le conseguenti discussioni con l’impresa perchè ho preteso ad esempio che tutte le scale esistenti venissero staccate dall’edificio e isolate termicamente.

Infine pannelli solari e fotovoltaici, pompa di valore, ventilazione controllata e un controllo domotico, non per divertimento (anche se mi sono divertita) ma per razionalizzare le gerarchie dei carichi che in momenti particolari vengono staccati automaticamente.

A distanza di qualche anno ho pensato di analizzare analiticamente i dati relativi ai consumi e di condividere, dati termici alla mano, i risultati del lavoro con spirito pratico.

 

Estrapolando il solo carico termico invernale (in pratica ho sommato solo i consumi rilevati nei mesi in cui ho settato la pompa e la VMC su “inverno”, trascurando i mesi estivi) , ricavo il consumo termico invernale annuo a metro quadro:

Ricavo quindi un Eph inferiore a 14, un valore che oscilla tra A e A+ (contro un valore A+ da progetto).

Come dicevo, al di là delle norme è l’uso a fare la differenza. A rigor di precisione bisogna dire che l’anno 1 non è da considerare perchè inficiato ancora da consumi di cantiere, posso quindi oggi riferirmi agli anni 2 e 3.

L’anno 2 è stato per me una “prova” e si vede che l’anno 3 ha portato un notevole miglioramento. Il meteo può avere influito, ma per lo più ritengo che sia l’uso consapevole ad aver fatto la sua parte.

Al’inizio ricordo che la domotica spegneva i fornelli proprio quando servivano, l’acqua calda non c’era.. tutte cose che manderebbero in bestia l’utente più sprovveduto!  Poi la casa ho cominciato a conoscerla a capire come “pensava” e ad anticiparla.

Un utente di una casa a basso consumo, che non utilizza energia fossile ma solo energia elettrica e solare, impara col tempo ad utilizzare i carichi maggiori quando c’è il sole; a mettere in stand by la pompa quando occorre un carico per cucinare e fuori fa molto freddo; a non aprire mai le finestre per non disperdere calore o fresco d’estate.

Evitando semplicemente di accendere elettrodomestici la sera e la notte si comincia recuperare parecchio ed ecco che da una classe A si finisce davvero in una classe A+, come da progetto.

Ecco, questa è solo una piccola parte dell’esperienza ancora una volta mi conferma quello che anche un profondo approccio BIM mi ha insegnato: progettare e abitare bene significa farlo razionalmente, con coscienza.

Non semplicemente con l’idea di finire un progetto secondo la normativa, ma con l’idea di non consumare risorse e suolo, di ottimizzare i costi, di aumentare il livello di comfort e di sicurzza. Più che progettazione BIM, la chiamerei progettazione “consapevole”.

E il BIM ha molto a che fare con il risparmio energetico, basta pensare a strumenti come FormIT e Insight, che permettono di ottimizzare le scelte preliminari per risparmiare durante il ciclo di vita del progetto (=utilizzo).

Per approfondire queste tematiche riporto i seguenti link:

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Ilaria Lagazio

Laureata in Ingegneria Civile e specializzata in Strutture, dopo una breve esperienza nel campo della progettazione si dedica all’industrializzazione dei sistemi edilizi come Building System Development Manager, gestendo il flusso delle informazioni dei componenti edilizi dal modello al cantiere. L’interesse per l’industrializzazione del cantiere e la gestione del dato progettuale la porta ad una esperienza negli Emirati Arabi e dal 2008 in Autodesk , dove oggi ricopre il ruolo di Senior Technical Sales Specialist

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